Arrivi e ripartenze

Ho finalmente terminato Myrtil Bear! Sono molto felice del risultato. Questo piccolo orso è un misto di dolcezza ed eleganza che ora siede sul mio letto e mi saluta ogni volta che entro nella camera.

Il processo di imbottitura è meno scontato di quello che pensavo. Ho cercato di seguire le istruzioni dell’autrice, rinforzando i punti di sostegno come base del collo, panciotto, anche, e lasciando morbidi i punti di snodo (spalle e base delle gambe) per permettere una maggior mobilità. Inizialmente ho rischiato di riempire troppo punti delicati come il polso o la caviglia, dove una imbottitura eccessiva avrebbe cancellato l’eleganza di questi passaggi sottili. È stato un po’ un andare per tentativi e seguire il mio gusto personale.

Ho imparato nuove tecniche come il Duplicate Stitch per chiudere il buco tra le gambe, dove ho inserito l’imbottitura. Ho paragonato vari strumenti, come il gioco di ferri in metallo rispetto a quello il legno, e dedotto alcune lezioni importanti, come le differenze nella scorrevolezza, nel peso e nella maneggevolezza dei materiali. Sono contento dei miei strumenti, ma potrei voler costruire un nuovo orso con la tecnica del magic loop a due ferri circolari, anche per provare a minimizzare il gap che, nonostante tutti gli sforzi, si forma sempre al passaggio tra un ferro a doppia punta e l’altro.

Nel complesso, la creazione di Myrtil Bear ha costituito un’avventura avvincente, che mi ha messo alla prova, ma che mi ha anche restituito una grande soddisfazione finale. L’investimento di aspettative, ore di lavoro e qualche risorsa non del tutto economica è valso tutta la pena.

Mi sono entusiasmato, ossessionato, stupito, un po’ come ogni volta in cui affronto un’avventura ignota e sento la pulsione a raggiungere l’obiettivo finale, costi quel che costi.

Grandi sfide e dopamina

Diciamolo subito: io ho il 46 di piede e delle manine altrettanto modeste. Usare i ferri del 2 mm non è una passeggiata, una cosa che puoi fare la sera, di rientro dal lavoro, tra un drink e l’altro, con un sottofondo di musica classica. Maneggiare i ferri del 2 mm è piuttosto un lavoro di estrema concentrazione, ci vuole qualcuno che nel frattempo ti tamponi il viso e ti sussurri: vai vai, ce la puoi fare!, mentre una pizza con doppia mozzarella si cucina in forno come premietto finale.

Non avevo mai provato a costruire un pupazzo ai ferri prima, e nemmeno ad utilizzare dei ferri così sottili. È una vera sfida. Ci sono tanti passaggi nuovi e concetti oscuri alla prima lettura. Fortunatamente il filato è meraviglioso e il pattern di Myrtil Bear molto chiaro; dove non basta la spiegazione scritta, attingo come sempre a YouTube. Nei punti più difficili faccio delle prove a parte, con ferri più grandi. Ho scoperto questo escamotage, in effetti ovvio, solo recentemente: mi permette di affrontare il lavoro definitivo con meno tensione e più confidenza.

Sto imparando nuove tecniche, come: tirar su i punti direttamente dalla trama della maglia rasata (per iniziare le orecchie), la chiusura ad ago Kitchener Stitch (per chiudere il margine superiore delle orecchie), inserire gli occhi nel lavoro e principi di ricamo (per ricoprire il naso e disegnare la bocca con del filo nero). Ho anche ripassato i ferri accorciati, che è sempre buona cosa.

Non lo nego, è stata dura. Per ogni orecchio ho impiegato circa 45 minuti. Ho proseguito lentamente, nel timore di fare cadere uno dei ferri, sostenuti a stento da 4 punti alla volta. A volte mi sono un po’ perso d’animo, ho lanciato un paio di gomitoli attraverso la stanza, ma non ho mollato. Mi sono anche chiesto, con frustrazione dilagante, a malapena tenuta a bada da diversi biscotti scozzesi al burro: ma chi te l’ha fatto fare, ma non potevi proseguire con le piastrelle grigie e buona notte? Che dire… mi piace variare, mi piacciono le sfide, mi piace imparare cose nuove, migliorare, stupirmi e rimanere soddisfatto. Sì, perché le sfide sono questa cosa qui: mettersi alla prova e insistere finché non ci si riesce. Perché lo facciamo? Per il senso di soddisfazione che arriva alla fine, per poter dire: ce l’ho fatta!

C’è anche una base biologica a tutto questo. La vittoria finale, il senso di riuscita, la soddisfazione nel vedere un manufatto realizzato personalmente alimentano un circuito cerebrale chiamato sistema della ricompensa o reward system. È un network di neuroni molto antico, che funziona prevalentemente tramite un neurotrasmettitore chiamato dopamina. Si attiva in varie occasioni: quando otteniamo un premio esterno per i nostri sforzi, quando le nostre azioni generano risultati ritenuti positivi, quando il nostro ego viene rinforzato.

È un sistema davvero figo, che dei pro e contro, perché anche stimoli potenzialmente sfavorevoli possono accenderlo, ad esempio scofanarsi un chilo di gelato davanti alla serie TV preferita o scommettere che Palomo arriverà al traguardo prima dei suoi cavalli rivali.
Quello di proporsi nuove sfide basate sul sé è un metodo piuttosto sano per attivare il circuito della ricompensa. Miriamo a 10 km di corsa, ad imparare una nuova lingua, ad un pupazzo tutto col ferro del 2 mm. Selezioniamo bene e proviamoci, per davvero però. I primi risultati già anticipano la gratificazione finale.

Un orso prezioso

Ricordo che, agli inizi della mia carriera di knitter, non conoscevo nemmeno l’esistenza di certi filati. Mi limitavo al misto 50% lana e 50% acrilico della merceria vicino casa, e cara grazia che c’era. Con l’andare degli anni e l’evolversi del digitale, ho iniziato ad accedere a vaste risorse online e a scoprire tutto il bello che c’è in giro per il mondo. Ma, quando anche incontravo matasse dai colori e dalla composizione affascinanti, mi ritenevo indegno di tali materiali, stanti le mie limitate capacità.

Col tempo ho sviluppato le mie abilità e acquisito sicurezza; eppure tuttora guardo con un misto di riverenza e terrore alcuni filati preziosissimi. Tipo quelli che, per l’equivalente di 100 grammi, puoi comprarti un paio di bottiglie di gin di tutto rispetto e scorta di acqua tonica per qualche mese. Un po’ l’imbarazzo, un po’ paura di sbagliare, ho sempre preferito soluzioni intermedie, e scelto prodotti di qualità decorosa ma a prezzi vantaggiosi. D’altra parte, è sempre un buon compromesso.

Poi ad un certo punto sono incappato in Myrtil Bear.

Il desiderio di costruire un peluche a maglia mi ha sempre sedotto. L’amigurumi è senz’altro la tecnica più efficace, ma il fascino della V della maglia è un’altra cosa. Myrtil Bear mi è parso il progetto perfetto da cui partire. Ora, il pattern richiedeva un filato sottile, in particolare un 4 ply da lavorare con il 2 mm. La mia mente è volata a delle meravigliose sfumature intraviste qualche tempo fa da Lanadimiele, e… beh, ho rinunciato alle famose due bottiglie di gin.

Il filato è straordinario, non c’è che dire. Twist sock della LITLG è un 80% superwash merino e 20% nylon. Il nylon lo rende perfetto per una struttura sostenuta come quella di un peluche, mentre la lana superwash è sempre un plus quando giunge il momento di lavare (anche perché tutto deve seguire la mia sofisticatissima tecnica di selezione: se non va il lavatrice, non entra in questa casa). Lavorare con i 2 mm… questa è un’altra storia. Ma il filato aiuta a recuperare serenità, scorrendo tra le mani come una terapia dai toni del beige, con micro inclusioni di blu, castagna e viola.

Sono felice di essermi concesso questo acquisto. Poi mi sono chiesto: perché non l’ho fatto prima? Perché mi sono deciso solo ora? È davvero perché il pattern lo richiedeva? O forse avrei potuto acquistare filati preziosi molto tempo fa, per altri manufatti, anche più semplici?

La risposta non è univoca. Certo, le risorse economiche di ognuno di noi variano. Io stesso, quando iniziai a lavorare a maglia, non disponevo delle stesse di cui dispongo ora. Ma forse, al di là di questo aspetto concreto, molto dipendeva da quanto ero pronto a valorizzare me stesso e il mio tempo. Infatti, non è forse il tempo una risorsa insostituibile? E allora, non varrebbe la pena concedermi tutte le chance per trascorrerlo al meglio, investendo in materiali belli, incrementando il piacere che deriva dalla loro lavorazione e dal prodotto finale?

Noi valiamo, e meritiamo il meglio. Sempre. Non serve attendere un progettone straordinario, alimentando peraltro troppe aspettative e qualche ansia inutile. Dobbiamo sforzarci e coltivare il nostro piacere ogni giorno e regalarci tutte opportunità possibili. E se non lo facciamo noi, chi lo dovrebbe fare?

Dovremmo volerci bene su base quotidiana.

Le maniche

Io lavoro il busto per primo perché lo trovo più vago e quindi più noioso delle maniche. Cresce lentamente, non ho un punto di arrivo certo, va provato diverse volte per capire se ci siamo con la lunghezza e posso partire col bordo inferiore o meno. Tira di qua, liscia di là, guardati allo specchio, davanti, dietro, boh. Non sono mai sicuro. Spesso sbaglio. Una rottura insomma.

Lascio le maniche per ultime. Ho la sensazione di controllarne meglio lo sviluppo, perché all’inizio della prima manica, grazie ad una formula che ho ormai reso universale tramite un foglio di calcolo su Excel, riesco a calcolare con precisione quante diminuzioni dovrò effettuare per arrivare ad una certa circonferenza, prima di iniziare il polsino. Quindi mi costruisco una tabella con, nella prima colonna, il numero di giri da lavorare in piano + quello in cui effettuare le diminuzioni (solitamente il sesto o settimo), e nella prima riga il numero totale di di volte in cui ripetere il tutto. Poi via di spunte in ogni casellina.

La ricetta è infallibile, e arrivo giusto giusto con i ferri circolari all’ultima diminuzione prima di iniziare il polsino.

Per il Daelyn Pullover, ho diminuito ogni settimo ferro per un totale di 13 volte. Dopo l’ultima diminuzione, preferisco passare al gioco di ferri per fare il polsino (quelli in foto sono del 4.5 mm, di 0.5 mm in meno rispetto al lavoro principale). I punti infatti diventano pochi e per proseguire con i circolari dovrei stirarli lungo il cavetto, e non mi piace sollecitare il filato senza un vero bisogno. Tra l’altro, mi piace anche la gestualità che entra in gioco nel maneggiare questi cinque bastoncini.

Se per caso il numero di punti non è preciso, lo sistemo al primo giro di coste, in modo da ottenere un numero di punti pari (se progetto coste 1 x 1) o multipli di 4 (se ho in mente coste 2 x 2, come più spesso succede). Prima mi preoccupavo di arrivare al numero corretto prima di effettuare le coste, e ciò mi procurava inutili mal di testa. La mia amica Laura è una che tende alla semplificazione, e mi ha insegnato questo trucchetto. Il cielo sa quanto un ossessivo come me ha bisogno di amici knitter per limare le proprie rigidità!

Ad oggi so la lana perdona e che una scorciatoia qua e una là aiutano a rilassarsi e a godersi meglio quest’arte. E col tempo che risparmio posso bere uno spritz in più.

Copertina pop: packaging e consegna

Il risultato finale mi ha davvero soddisfatto. Confesso, ho ricevuto tanti complimenti e ho influenzato le mie amiche e colleghe del club di maglia. Alcune si sono già messe all’opera per replicare il progetto e mi hanno chiesto indicazioni. Il mio (peraltro modestissimo) ego ha lanciato coriandoli qua e là!

Ho consegnato a Valentina la copertina insieme ad un coniglietto e un berretto da elfo. Il coniglietto è una piccola gemma, lo so. Terminato grazie all’intervento cruciale di una delle LaNoLers, Franca, maestra dell’amigurumi, è stato una sorpresa anche per me. A dirla tutta, per un attimo ho pensato di tenermelo, ma poi ho avuto tenerezza per il nascituro e me ne sono privato, non senza una nota di rimpianto. Non so se lo rifarei. Bellissimo eh, specialmente in quel cotone egiziano turchese, ma l’uncinetto del 3.5 mi odia. Sì sì, me l’ha proprio detto, l’ho sentito, più volte. Specialmente nella coda fatta con una circonferenza di 4 punti circa. Ad ogni modo il sentimento è reciproco.

Il berretto viene da un pattern preso da Do Knit, un negozio qui di Milano. Incredibilmente, il pattern non è più disponibile. Appena avrò tempo dovrò farne un certo numero, sono sempre un bel regalo passepartout per bimbi fino ai tre anni.

Valentina è stata contentissima, ed io con lei. Riscopro in queste occasioni che la gioia non è solo di chi riceve un dono, ma anche di chi lo fa.